| ma lo sai che non trovo nessuna notizia in merito? eppure ricordo qualcosa del genere
ecco qua, non era un imperatore romano:
"Si tramanda che, quando Mitridate VI fu finalmente sconfitto da Pompeo, essendo in pericolo di essere catturato dai Romani, egli tentasse il suicidio per mezzo di un veleno; tuttavia, questo tentativo fallì a causa della sua immunità allo stesso. Secondo la Storia Romana di Appiano, si fece uccidere da un servo con la spada: « Mitridate poi prese del veleno che portava sempre con lui, accanto alla spada, e lo mescè. Quindi due delle sue figlie, ancora fanciulle (si chiamavano Mitridate e Nyssa), che erano state promesse ai re d'Egitto e di Cipro e che erano cresciute assieme, gli chiesero di lasciar prender loro il veleno per prime, ed insistettero fortemente e gli vietarono di berlo finché non ne avessero preso e ingoiato un po'. L'intruglio ebbe effetto su di loro immediatamente; ma su Mitridate non ne sortì alcuno, benché egli camminasse rapidamente tutt'attorno per accelerare la sua azione venefica. Questo accadeva perché il re aveva assuefatto se stesso ad altri veleni coll'assumerne sempre, al fine di proteggersi da eventuali attentatori.[...] Avendo quindi visto nei pressi un certo Bituito, un ufficiale dei Galli, gli disse:"Ho avuto un gran profitto dalla tua arma, usata contro i miei nemici. Ora, ricaverò da essa un vantaggio più grande che mai se mi ucciderai e se salverai, dal pericolo di essere condotto in un trionfo Romano, uno che è sempre stato autocrate per così tanti anni nonché signore di un così grande regno, ma che ora non puo' morire per mezzo del veleno perché, come un folle, ha fortificato se stesso contro il veleno di altri. Benché io mi sia prevenuto contro tutti i veleni che uomo possa ingerire col cibo, non mi sono mai prevenuto contro l'insidia domestica, che è sempre stata la più pericolosa per i re: il tradimento dell'esercito, dei figli, degli amici." Bituito, però, che era stato supplicato, rese al sovrano quel favore che lui desiderava. »
(Appiano, Storia romana, XVI, §111)"
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